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Sulla dea orfica

Mnemosyne mette a contatto due sfere apparentemente esclusive: quella della conoscenza e quella dell’immediatezza. Essa è principalmente dea della conoscenza in quanto si ha conoscenza sempre e solo del passato, mentre l’immediato è fuori da ogni determinazione, compresa quella cronologica. Quando l’immediato è colto nella rappresentazione (che è pure nell’etimo “ri-presentazione”) è già calato nel passato e, per ciò, non più immediato ma cronologicamente mediato, così come è imbrigliato da mille altre determinazioni. In tal modo  Mnemosyne indica pure quella sfera dell’immediatezza, altrimenti irrintracciabile. Seguire la sua traccia è quindi l’unico modo, per l’uomo della conoscenza, di tornare lì dove da sempre è perché la rappresentazione mostra in modo enigmatico che vi è stato.

Mnemosyne è allora la dea della consapevolezza dell’iniziato di far parte della schiera dei beati: per il suo tramite l’iniziato comprende la propria divinità e questo in entrambi i mondi, terreno e ultraterreno. In un senso lineare, discorsivo, Mnemosyne permette all’iniziato di ricordare, nell’oltretomba, il passato, prima che nascesse e così a ritroso fino allo stato di divinità, poi perduto con la caduta nella mortalità. D’altra parte questo mito è un’allusione a quella natura premortale che è eterna, ossia atemporale. Qui ci si avvede, si ricorda, che in ciò si è già stati anche nella vita attuale, quindi che letteralmente si è eterni. Il ricordarsi qualcosa di non rappresentabile, o meglio il ricordarsene attraverso una rappresentazione enigmatica (io mortale, sono stato eterno, dunque sono eterno), significa infine tornarne a contatto.